Quando, nei primi mesi del 1970, rientrò a New York alla fine di un giro europeo, Feldman telefonò alla madre, la quale gli disse: “La signora Press [Vera Maurina Press, pianista russa allieva di Busoni e amica di Skrjabin, che fu appunto l’insegnante di pianoforte del giovinetto Feldman] è morta la settimana scorsa a novant’anni”. Allora Feldman scrisse un pezzo alla sua memoria, questo, che penso sia uno dei pezzi più belli mai scritti nell’intera storia della musica. A dispetto della vocazione astratta di tutta la musica di Feldman, qui vi è rappresentata, letteralmente, l’intera vita della pianista, un po’ come in un arazzo ricamato dalle tre Parche: Cloto e Atropo, all’inizio e alla fine, ne segnano con un arpeggio di celesta l’atto di nascita e di morte, mentre Lachesi scandisce come un cucù e per novanta volte ogni anno della vita della pianista. E’ straordinario notare come i colori di ciascun anno (l’armonia che sostiene gli incessanti – ma quanto dolci, quanto elegiaci! – rintocchi del cucù) siano sempre leggermente diversi: un anno tranquillo, un altro un po’ più buio, un altro ancora tragico o sinistro, e così via. Inoltre, notevolissimo è il punto in cui, verso il minuto 3′ 30”, la musica comincia a sfaldarsi e a sfilacciarsi, finché, al minuto 3′ 56”, sei rintocchi (gli anni di apprendistato trascorsi con lei?), passati dal flauto alla tromba in sordina, sono scanditi in modo più secco e staccato degli altri.
Un pezzo permeato di infinita tenerezza.

In apertura a un suo scritto su Nono, nel lontano 1987, Gianmario Borio annotava: “Una storia della musica seriale non è ancora stata scritta”. Venticinque anni dopo, quella storia continua a non essere ancora stata scritta da nessuno. Ciò è effettivamente curioso. Personalmente, ho pensato nel frattempo che la scrivesse appunto Borio, quella storia, ma poi non è andata così (almeno per ora). Ma, del resto e seriamente, chi potrebbe mai scrivere una storia del genere, soprattutto “dal di dentro”? Non è forse al di là delle possibilità umane di qualunque musicologo? Io penso sia davvero un’impresa impossibile, anche per una équipe di studiosi. L’unica possibile ‘storia’ della musica seriale sarebbe, paradossalmente (ma non troppo), un racconto, una cronistoria, una raccolta di testimonianze sulle idee, sulle poetiche, sui linguaggi, sulle tecniche, sugli stili, sulle influenze reciproche tra i compositori e sulla ricezione delle loro opere. Una storia descrittiva, insomma, in cui le incursioni analitiche siano ridotte al minimo. Le ‘opere in sé’, in una tale prospettiva, non possono che assumere un ruolo secondario rispetto alla loro ricezione estetica e al loro valore sociologico e culturale. E sta proprio qui l’aspetto curioso della questione: che una musica nella quale il posto che occupa ogni singola nota è in teoria giustificabile e dimostrabile razionalmente perché derivabile da una matrice di regole e di codici, sia finita col tempo per essere valutata e valutabile come ogni altra, e cioè per la carica espressiva e comunicativa che porta in sé e per l’impatto emozionale che lascia.