Educazione musicale

31 agosto 2009

 

Sono anni, decenni, forse secoli o millenni che si parla di riforma degli studi musicali. E ogni cosa, più o meno, rimane com’è. Cambiano tutt’al più alcuni aspetti, dettagli della questione, talvolta cambiano le metodologie didattiche, ma non cambia il modo di pensare la musica. Non cambia per così dire la ‘testa’, la forma mentis del musicista, soprattutto non cambia quella dell’insegnante di musica. E tutto ciò a dispetto dei numerosi e validi contributi teorici che si sono avuti da più parti negli ultimi anni, per non dire nell’ultimo secolo. Sembra che si manifestino difficoltà insormontabili per gli insegnanti ogni volta che, al di là della condivisione teorica di certe linee di fondo, si deve passare dalla teoria alla pratica. “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”: mai proverbio è stato più vero e calzante se si pensa allo stato di cose in cui versa ancora oggi la didattica musicale.

Certo, non è facile cambiare il modo in cui si pensa una cosa, perché ciò necessariamente implica un errore di valutazione non solo rispetto all’uso che si fa di questa cosa ma anche rispetto alla concezione dell’essenza, della natura della cosa in sé – implica insomma una radicale messa in discussione della questione nella sua globalità. E io credo fermamente che la didattica musicale abbia bisogno non di una riforma ma di una vera e propria rivoluzione, di un atto cioè di trasformazione radicale che non può prescindere da una seria revisione e riformulazione del concetto stesso di musica.

La musica deve tornare ad essere indagata dunque nella sua essenza di forma linguistica, nel suo statuto di linguaggio. A prescindere quindi dal come si apprenda questo (presunto) linguaggio, si deve tornare a chiedere: la musica è davvero un linguaggio? Mi rendo perfettamente conto del fatto che una tale domanda suoni un tantino provocatoria: pure, se ci poniamo questa domanda fondamentale ci si trova di fronte a questioni altrettanto fondamentali a cui ancora non è stata data una risposta univoca, in primo luogo alla questione delle origini.

Guarda caso, di tutte le discipline artistiche, la musica è quella in cui più che in qualsiasi altra la questione delle origini è rimasta avvolta nel mistero più impenetrabile. Nonostante siano state prodotte diverse teorie e interpretazioni al riguardo (curiosamente molto sottovalutate dagli studiosi di storia della musica – basti considerare il men che esiguo spazio dedicato dai manuali a questo argomento) si sa poco o niente sul quando, sul come e sul perché l’uomo abbia iniziato a fare musica. In genere la questione viene completamente trascurata, abbandonata al suo mistero originario e si dà così per scontato che l’essenza della musica coincida con la storia della sua scrittura e quindi, in un senso più ampio, con il suo essere costitutivamente un linguaggio. Non è certo questa la sede più adatta per approfondire un argomento del genere: mi limito perciò soltanto a delineare il modo in cui tale argomento dovrebbe a mio avviso essere impostato. Vorrei però ricordare qui almeno i paradossi e le aporie che ha finito per produrre un tale pregiudizio – perché di un pregiudizio si tratta e di un pregiudizio per così dire grosso come una casa – e in primo luogo quelle legate alla asemanticità del linguaggio musicale. Non so a voi, ma se è vero che dire che ‘do re mi’ significa “sono felice” fa sorridere, a me fa ancora più ridere pensare che ‘do re mi’ significhi “do re mi”, come vorrebbero i cosiddetti formalisti, Hanslick in testa.

Tornando alla questione più strettamente legata alla didattica, ma per me appunto inevitabilmente condizionata da quanto esposto sopra, direi che la cosa più urgente da fare è ridimensionare drasticamente la funzione e il compito che hanno i Conservatori e gli Istituti Musicali all’interno dell’educazione musicale nel suo complesso, pena un imbarbarimento sempre più dilagante e irreversibile della cultura musicale generale: essi dovranno diventare qualcosa di simile a un’istituzione museale che abbia al suo interno una scuola di ‘restauro’, qualcosa di analogo al ruolo che riveste la filologia classica rispetto alla letteratura; una funzione cioè di archiviazione, custodia (e certo anche di divulgazione) di un patrimonio culturale – quello appunto ‘classico’ – di inestimabile valore. L’alternativa, da me in verità ingenuamente auspicata fino a non molto tempo fa, sarebbe una riconversione dei Conservatori in scuole di musica tout court nelle quali non solo si studino tutte le nuove forme di sapere musicale (dal Jazz al Pop, dalla musica elettronica all’informatica musicale, dalla critica musicale al sound design, etc.) ma in cui queste nuove forme abbiano una prevalenza sulle vecchie (studio degli strumenti musicali classici e del canto lirico, della composizione secondo i metodi tradizionali, etc.). Non credo che i Conservatori, e cioè coloro che ci stanno dentro, saranno mai in grado da soli di operare un tale ribaltamento di prospettive e di finalità, fosse anche soltanto per forza d’inerzia; ma proprio per questo essi dovranno rassegnarsi ad essere soltanto una delle agenzie formative che in futuro assolveranno il compito di educare i cittadini alla musica (non si spaventino però i signori col farfallino: sarà sicuramente la migliore, una sorta di Scuola Normale della musica…).

Certo tutto ciò non può accadere dall’oggi al domani: deve correre di pari passo, come in una specie di gigantesca dissolvenza incrociata, a una altrettanto radicale rivoluzione musicale interna alla scuola pubblica che miri alla formazione non del musicista ma dell’uomo musicale, che educhi non tanto alla musica intesa come linguaggio in senso stretto ma a una più generica musicalità. Ciò implica in primo luogo la formazione di insegnanti di scuola materna e primaria, addirittura di operatori degli asili nido, con profonde competenze musicali. La musica dovrebbe accompagnare tutte le attività che si svolgono nei nidi, essere materia principale insieme alle arti visive e alla ginnastica nella scuola materna e mantenere un ruolo preminente fino alla fine della scuola primaria. Ciò sarebbe sufficiente per consegnare alla scuola media bambini perfettamente intonati e totalmente disinibiti nell’uso spregiudicato non solo degli strumenti musicali tradizionali ma di qualsiasi fonte sonora: un ‘corredo’ di natura eminentemente pratica che consentirebbe loro sia di comprendere a fondo le questioni storiche e teoriche legate alla musica, sia di scegliere alla fine degli studi superiori il Conservatorio con la stessa facilità con cui oggi si sceglie Ingegneria, Medicina o Giurisprudenza anche se non si sono dapprima sviluppate competenze specifiche nel settore. Tutto ciò contribuirebbe a colmare la più grande lacuna culturale che ancora sussiste tra esperti e profani, quella appunto tra musicisti professionisti e meri ascoltatori: una lacuna neanche lontanamente paragonabile a quella che separa gli esperti e i profani nelle arti visive, nella letteratura, nel cinema.

PS perché, insomma, la musica non ha ancora avuto il suo Bruno Munari? (Mi piacerebbe chiederlo a Uto Ughi).

Una perla di Carla

30 agosto 2009

Sentite che meraviglia questa canzone composta da Carla Bley per Nick Mason. Canta Robert Wyatt (pare dovesse cantarla Antonello Venditti in origine, ma poi purtroppo ‘er capoccione’ ebbe un incidente e fu sostituito all’ultimo minuto da questo ignoto cazzone di Canterbury…).

Non ho capito praticamente un cazzo, ma è sufficiente starla a guardare, vederla parlare e muoversi in mezzo a questi eunuchi e a queste befane (mi pare ci sia anche la Merkel, ah ah ah ah)…

Addio a un grande

29 agosto 2009

savona

Se ne è andato un grande della musica italiana, Virgilio Savona, fondatore e ‘mente’ del Quartetto Cetra, uno dei pochi musicisti che abbiano saputo sintetizzare con perfetto equilibrio approccio ludico e rigore esecutivo, facilità comunicativa e raffinatezza timbrica. Uno che sapeva rendere una stupidissima canzoncina come Nella vecchia fattoria un capolavoro. Ne avessimo, oggi, di musicisti così…

Women and music

29 agosto 2009

nina

Amo le donne, anche se ovviamente non tutte (e anche se mi fanno schifo le canzoni a loro dedicate da Zucchero e da Fiorella Mannoia). E in particolare amo le musiciste (strano, eh?). Credo fermamente che esse abbiano dato molto non solo alla musica ma all’arte in genere, per quanto la loro piena possibilità di creare e di esprimersi liberamente sia stata, per ovvie ragioni, una conquista recente. Certo nell’ambito della musica colta e del Jazz  si sono distinte soprattutto come interpreti, ma nel Pop sono state e sono tuttora protagoniste assolute. Janis Joplin, Joni Mitchell, Nico, Patti Smith, Kate Bush, Laurie Anderson, Diamanda Galas, Nina Hagen (per la quale ho un’autentica venerazione – il suo Nun sex monk rock del 1982 l’ho letteralmente consumato), Björk: sono soltanto i primi nomi che mi vengono in mente di un lunghissimo elenco senza il quale il Pop semplicemente non sarebbe quello che è. E tra le compositrici più ‘classiche’ le mie preferenze vanno alla jazzista Carla Bley (della quale adoro Fictitious sports, il disco che dedicò – anche se non ho mai capito perché – a Nick Mason dei Pink Floyd), a Meredith Monk e soprattutto alla russa Galina Ustvolskaja, allieva prediletta di Shostakovich, autentica fuoriclasse la cui misteriosa,  sconvolgente opera pongo ai vertici della musica del secondo Novecento accanto a quella dei miei idoli Feldman, Clementi e Wolff. Grandi donne, insomma: belle, brave, sorprendenti, originali, sensuali, enigmatiche, geniali. Le amo.

PS a riascoltare dopo tanto tempo la voce di Nina Hagen in Future is now, tratta appunto dall’album Nun sex monk rock, vado in estasi, ora come allora. Considero questa performance vocale una delle sue più strabilanti ed emozionanti. Meravigliosa Nina.

Nuovo inabissamento

4 agosto 2009

Mare-in-tempesta

Carissimi amici, purtroppo ancora una volta mi trovo in avanzato ritardo rispetto alla consegna di un lavoro e sono dunque costretto a ritirarmi di nuovo per qualche settimana (due o tre). Lo dico a malincuore, ché è un grande piacere intrattenermi con voi, qui. Controllerò comunque quotidianamente le entries e risponderò a chiunque volesse chiedermi qual si sia cosa. Più difficile sarà trovare in questo lasso di tempo nuovi post (in particolare di quelli piuttosto lunghi e articolati), ma spero in qualche guizzo improvviso che possa distogliermi dalla noja della routine. A presto, anzi, a prestissimo.

PS lunedi 10 agosto dalle 22 in poi parlo di Syd Barrett su Radio 1, a Music Club. Se vi va ascoltatemi. Vi abbraccio tutti.

Finalmente, dopo tanta merda, ho trovato una cosa meravigliosa (chi sarà mai questo genio del bene??? – chiunque tu sia, ti abbraccio forte e bacio commosso). Grazie anonimo, geniale autore di questa chicca, balsamo rigeneratore per la mia depressione.

Innodia italiota

3 agosto 2009

Non riesco a non rivedere continuamente il primo video dal minuto 1′ 46” al minuto 2’02” (e a non vomitare sul tono impresso alle parole “che ha solamente chi è puro di mente” – e anche qui, poi, come in Allevi: ma perché “puro di mente”?! perché dei lavoratori di una ditta qualunque – sembrerebbe una ditta di telecomunicazioni – dovrebbero essere dei “puri di mente” o anche soltanto avere la forza di un “puro di mente”??!! ma perché, porca puttana… perché, porca troia, perché, perchééééééééé’???!!!). (Quanto mi fa male non capire, ragazzi… è davvero, davvero una cosa straziante per me… non so farci il callo, porca miseria…).

Non sentitevi in dovere di lasciare commenti. Davvero, non me li aspetto, è già stato detto anche troppo su di lui. Ma godetevi ‘sto video, se ne avete voglia e non avete niente di meglio da fare…