Testimonianza su Giancarlo Cardini

13 marzo 2023

Quello che segue è il mio contributo alla giornata dedicata a Giancarlo Cardini, organizzata dal GAMO e svoltasi presso il conservatorio “L. Cherubini” di Firenze il 12 marzo 2023

Preceduto dalla sua fama, conobbi personalmente Giancarlo Cardini il primo settembre del 1990, lo stesso giorno in cui conobbi anche Aldo Clementi. Mi ero infatti iscritto al Corso di Perfezionamento in Composizione che il GAMO all’epoca teneva annualmente e che quell’anno e il successivo fu tenuto da Clementi. Mi era sembrato subito che fosse una persona schiva, timida, introversa e riservata, ma quando vide che la mia borsa era piena di partiture di Morton Feldman (ero appena tornato da Zurigo, dove ne avevo acquistate una ventina) si sbottonò immediatamente e mi chiese di dargli del tu. “Ma sono tutte di Feldman?”, chiese con espressione stupita e con la sua voce inconfondibile, che subito imparai ad imitare; “Sì, è il mio compositore preferito”, risposi – “Allora diamoci del tu”, replicò. Da quel momento diventammo amici e fino a un paio d’anni fa, quindi per circa trent’anni, ci siamo visti una media di tre o quattro volte l’anno, cioè un centinaio di volte.

“Ci siamo visti”, ho scritto; più precisamente, andavo a trovarlo a casa sua. Un sabato, o una domenica, prendevo la macchina e da Livorno andavo a Pomino, dove restavo per pranzo e fino a sera. Andavo insomma, come si diceva un tempo, “a trovare un amico”, un’abitudine che oggi forse si è un po’ persa e che invece costituisce uno degli aspetti più belli e importanti della vita umana. Tranne rari casi, infatti, non c’era mai uno scopo diverso dal semplice vedersi per passare una giornata a conversare, ascoltare musica, leggere, analizzare insieme libri e partiture, attingendo alla sua sterminata, ricchissima biblioteca.

Non erano insomma incontri di lavoro, non si discuteva di progetti o di cose concrete da fare, ma solo della nostra comune passione, la musica. Quello che ho preso e imparato, quello che mi hanno dato quegli incontri ha avuto per me un valore inestimabile e ha influenzato profondamente e in larga parte la mia vita non solo di musicista. Ciò che mi colpiva, che amavo di più in Giancarlo non erano infatti le sue competenze di musicista, il suo rigore e la sua acutissima intelligenza di interprete magistrale e di compositore, ma la sua attitudine umana complessiva, il suo amore per le cose e soprattutto la sua unica, straordinaria sensibilità. Non ho mai conosciuto una persona più attenta di lui alla minima sfumatura di senso, al minimo dettaglio di vita quotidiana o al più insignificante evento. “Un cassetto si trova aperto un po’ meno di metà”, recita uno dei ‘frammenti di contemplativo quotidiano’ contenuti nel suo libro Bolle di sapone: ecco, Giancarlo era uno capace di stare a pensare per un’ora di seguito a un cassetto “aperto un po’ meno di metà”, di contemplare tutto il suo mistero, di sentire tutta la sua fragile bellezza e poesia. E naturalmente questo mistero, questa poesia era anche capace di rifletterla, di evocarla, di esprimerla nelle sue composizioni. Da Una notte d’inverno (la mia preferita) a Lento trascolorare dal verde al rosso in un tralcio di foglie autunnali, da Ultimi fiori verso sera a Una lenta malia, da Campagna di sera, il lume di una casa in lontananza al più recente Via del Fico, Firenze. Una piccola strada disadorna, silenziosa, quasi immota, arida e bella: lì tutto è incanto, fascinazione, rituale, mistero, bellezza. Un suono tendenzialmente statico (ma vibrante!), un lento riverberare di accordi e di arabeschi, di silenzi e di poche figure ripetute. Una musica improntata alla contemplazione, sì, ma piuttosto alla prossimità che alla distanza: una contemplazione attiva, non passiva, tattile, che tocca e carezza gli oggetti che evoca. Se nella musica del già citato Feldman, forse il compositore stilisticamente a lui più vicino, la contemplazione sonora è sempre improntata a un astrattismo di derivazione pittorica, nelle opere di Giancarlo vi è invece una forte componente che definirei erotica e naturalistica. “La musica deve far godere. Tutto il resto è secondario. L’unica cosa veramente importante nell’esperienza musicale è dunque la fascinazione, e non considerazioni estrinseche riguardanti la filosofia, l’etica, la spiritualità, la politica”: in questo suo aforisma è racchiusa tutta la sua estetica musicale.

Da giovane aveva frequentato assiduamente il cenacolo che si costituì intorno a Roberto Lupi, figura importante nella vita musicale fiorentina degli anni Cinquanta e Sessanta, e si era quindi interessato all’Antroposofia di Rudolf Steiner e più in generale allo spiritualismo fin de siècle (sui suoi scaffali ricordo numerosi volumi dedicati alla magia e perfino, tomo imponente, l’Iside svelata di Madame Blavatsky), ma poi se ne allontanò per il carattere un po’ troppo settario e intransigente che animava quell’ambiente, laddove Giancarlo aveva un’anima profondamente laica, libertina e libertaria. Le tracce più profonde le lasciarono semmai lo Zen e le filosofie orientali, tracce tangibili e trasversali a molte sue composizioni, dalla Neo-haiku suite del 1979 ai Rituals for the Ryoanji Garden del 2012.

Infine, segno forse ancora più tangibile della sua anima libertaria e indipendente, mi piace ricordare qui l’amore viscerale che nutriva per la letteratura pianistica minore e per la musica leggera, cui ha dedicato una parte cospicua del suo catalogo, che conta numerose trascrizioni da Bindi, Paoli, Tenco, Modugno, D’Anzi, Jobim, Rodgers. Delle canzoni pop Giancarlo amava soprattutto la fragilità e l’immediatezza, l’ingenuità e la sensualità. Anche quando le riveste di sonorità pianistiche sontuose o brillanti, si percepisce sempre il gesto più morbido e carezzevole, il rapimento estatico che queste canzoni esercitavano su di lui.

Negli ultimi anni aveva esteso i suoi interessi alla storia, alla politica e all’antropologia e leggeva moltissimo. Dall’inizio dell’autunno e fino a tutto l’inverno, ogni giorno feriale si recava di buon mattino alla Biblioteca delle Oblate dove si tratteneva fino a sera a leggere e studiare.

La sua scomparsa ha rappresentato una perdita irreparabile per il mondo della musica contemporanea e ha lasciato un vuoto enorme e incolmabile in tutti coloro che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene. L’ultima volta l’ho visto il 27 febbraio dell’anno scorso, una domenica, a Camaiore, dove era ospite della nipote. Non so se mi ha riconosciuto, la malattia era già in una fase avanzata.

Mi ritrovo spesso a pensarlo e lo vedo ancora e sempre intento a fissare qualcosa, come perso a seguire un pensiero o chissà che; non era certo facile intuirlo. Aveva anche, come tutti i grandi, un’ironia finissima e sfuggente. Uno dei suoi primi e meno conosciuti pezzi, La durezza delle pietre, per pianoforte preparato e amplificato, trentanove assi di legno, tam-tam e nastro magnetico, venne registrato ed incluso nel primo vinile interamente dedicato alle sue composizioni, che uscì negli anni Ottanta allegato a un numero di 1985 La Musica, la rivista di musica contemporanea diretta da Daniele Lombardi e Bruno Nicolai. Non fu soddisfatto della registrazione, che a suo dire aveva alterato seriamente il senso del pezzo, e finì per ripudiarlo e per toglierlo dal catalogo delle opere. Un giorno mi mostrò la partitura di questo pezzo: centottanta pagine fitte, piene di cluster pianistici collocati sulla linea del tempo con precisione maniacale. “Un pezzo piuttosto inconsueto rispetto agli altri”, gli dissi. Uno dei pochissimi infatti, forse l’unico, in cui aveva adottato uno dei metodi compositivi aleatori di John Cage, quello che prevede l’annerimento delle imperfezioni presenti in un foglio di carta, usato dal compositore americano per la serie Music for piano negli anni Cinquanta. In questo caso però Giancarlo, invece delle imperfezioni della carta, annerì le imperfezioni di un muro. C’era infatti un lungo muro che aveva attirato la sua attenzione in una via di Settignano, e lo aveva mappato su carta: ogni cluster rappresentava uno dei numerosi ciuffi d’erba sporgenti dal muro. Per mapparlo tutto gli ci vollero ovviamente diversi giorni (di qui le centottanta pagine): immagino cosa debbano aver pensato i passanti che lo vedevano lì in piedi a fissare questi ciuffi d’erba e a trascriverli sulla carta, e sorrido.

Desidero qui ringraziare dal profondo del cuore Giancarlo per avermi insegnato a guardare con altri occhi e ad ascoltare con altre orecchie la realtà, per avermi dischiuso nuovi e sconosciuti orizzonti di vita e di poesia, per aver illuminato la mia strada con una luce soffusa ma inestinguibile, che continua a irradiare i suoi bagliori e a sostenere il mio cammino incerto. La sua solitudine, la sua unicità è stata e continua a essere per me un punto fermo nell’abisso di oscurità in cui sembriamo tutti lentamente ma inesorabilmente sprofondare.

2 Risposte to “Testimonianza su Giancarlo Cardini”

  1. Bellissima testimonianza.

  2. marcolenzi said

    grazie carissimo.

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