Cosa penso (in estrema sintesi) di Pietro Mascagni

7 dicembre 2013

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Penso che il suo sia un caso molto istruttivo e anche abbastanza frequente tra i compositori: il caso di un compositore molto dotato, di grande talento, al quale però è mancato sia un orientamento estetico forte, sia – peggio ancora – la capacità di comprendere il presente (che non significa fiutare le mode e le tendenze ma, al contrario, proprio comprendere la realtà che ci circonda, percepirne il senso e lo spirito). Al di là della gloria, della fama, della ricchezza e degli onori, credo che la vita di Mascagni sia stata molto sofferta da questo punto di vista. La chiave sta un po’, come sempre, nella biografia. Se andiamo a vedere la sua vita nel periodo immediatamente precedente alla composizione di Cavalleria, scopriamo che Mascagni si era totalmente assuefatto all’idea di restare per sempre il direttore della Filarmonica di un paesino sperduto, dove aveva messo su famiglia e radici. Si sentiva un compositore fallito e vagheggiava di poter realizzare prima o poi il sogno di tutta la sua vita. Questo sogno aveva un nome: Guglielmo Ratcliff, l’opera nella quale era immerso sin da adolescente e che sembrava dovesse diventare l’opera che non sarebbe mai riuscito a realizzare, un po’ come nel Frenhofer di Balzac (il modello dell’artista che lavora per tutta la vita a un’opera senza mai riuscire a portarla a compimento) o, se vogliamo una figura più aggiornata, nel Richard Dreyfuss del film Goodbye Mr. Holland. Questo era Mascagni a venticinque anni. Come sappiamo, infatti, Cavalleria fu il frutto di un caso assoluto – la caduta dello sguardo su una pagina di giornale che riportava il bando di un concorso. Nonostante l’avesse composta in uno stato di eccitazione febbrile, sappiamo anche che Mascagni non ne era granché convinto, se addirittura – narra la leggenda – fu la moglie a spedire la partitura il giorno prima o quasi della scadenza del bando. Il resto è storia. Quindi Mascagni divenne d’un tratto non solo l’autore di un’opera che fece il giro del mondo in appena due anni, ma anche, suo malgrado, il capostipite di un nuovo genere, il cosiddetto ‘verismo musicale’, un genere che influenzò più gli altri operisti che lui stesso. Lui infatti continuò a pensare al Ratcliff, anche dopo il successo enorme di Cavalleria, e il Ratcliff era un’opera romantica per eccellenza, cioè un’opera già fuori dal suo tempo. Cosa accadde, dunque? Accadde che gli editori, ovviamente, vedendo in lui una gallina dalle uova d’oro, cominciarono a chiedergli di sfornare un’opera dopo l’altra, che lui scrisse però con poca convinzione, affidandosi unicamente al suo talento di compositore ma senza avere la minima idea di cosa fare, o meglio di che senso dare al proprio operato. Ed ecco così l’opera esotica, l’opera liberty, il drammone romantico, fino all’operetta: tutti lavori che recano qua e là l’impronta e il guizzo di un grande talento, ma che sono completamente fuori da un contesto culturale così travolgente e innovativo come quello europeo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento (ricordiamoci che il nostro era coetaneo di Mahler, di Debussy, Satie e Strauss). Insomma, per concludere: Mascagni fu e restò, come altri compositori, l’autore di un’unica opera che in fondo non gli apparteneva, che era stata scritta di getto e forse proprio per quello riuscì così bene (Cavalleria rusticana è indiscutibilmente un vero gioiello, una perla); un’opera che segnò definitivamente la sua vita, nel bene e nel male, e che gli fu croce e delizia ad un tempo.

Ecco, questa è l’idea che mi son fatto di lui.

4 Risposte to “Cosa penso (in estrema sintesi) di Pietro Mascagni”

  1. martina said

    questo blog è …sai cocolo…per dirla alla triestina

  2. marcolenzi said

    grazie, martina. l’espressione livornese corrispondente dovrebbe essere qualcosa tipo “mi garbi abbestia”, o sbaglio? 🙂

  3. Michele said

    Condivido solo in parte il tuo ragionamento Marco.
    E’ vero che Mascagni non dimostrò mai la statura intellettuale per cogliere fino in fondo i mutamenti del proprio tempo eppure il suo genio musicale è indiscutibile e va ben oltre la Cavalleria Rusticana.
    Mascagni si è sempre dibattuto in strade diverse rispetto alla Cavalleria ma quasi mai con “poca convinzione” (il Silvano fu “due atti di poca roba” scritti per far piacere a Sonzogno) sia per i successi (Iris) che per gli insuccessi (Le maschere).
    Insieme a Puccini è stato l’unico operista italiano di quella generazione che ha intrappreso un percorso di ricerca musicale anche se con risultati alterni (Iris -> Isabeau -> Parisina).
    In particolare l’Iris rappresentata per la prima volta nel 1898 è un’opera veramente atipica rispetto al contesto italiano di quegli anni ed è secondo me il lavoro dove il suo genio tocca le vette più alte anche se si tratta di capolavoro imperfetto.

    La differenza più grande fra il livornese ed il lucchese è che il secondo aveva un senso teatrale eccezionale mentre Pietro era l’esatto opposto, egli credeva di poter musicare qualsiasi cosa e che il suo genio potesse da solo rendere meritevole ogni libretto (così nacque L’amico Fritz).
    Dove Puccini si informava dei costumi e melodie del Giappone per dar vita alla sua opera “giapponese”, Mascagni si limitava a proiettare il suo talento sulla idea del tutto irreale che aveva del Giappone.

    In definitiva credo che Mascagni sia un autore scomodo da collocare per la sua mancanza di cultura generale e azione unitaria ma al contempo il suo innegabile genio l’ha portato spesso quasi casualmente a esiti di rilievo (chi mai avrebbe potuto pensare a riprendere in mano l’opera buffa e le maschere della commedia nel 1900? Eppure nel proseguo del secolo altri si cimenteranno nel ripescaggio e rilettura dei stilemmi musicali del passato).
    E’ davvero un peccato che alcune delle opere capitali di Mascagni a tutt’oggi manchino di incisioni di riferimento (Isabeau, Parisina).

  4. marcolenzi said

    grazie per il contributo, michele, e scusami se ti rispondo solo ora. al di là di ciò che personalmente penso di mascagni, sono convinto che sia un autore che merita di essere approfondito e conosciuto meglio. un caro saluto.

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